I dolori sono come il ballo delle
debuttanti, l'immigrazione e il processo breve: ci devono essere,
punto e basta. Sono dinamiche che non ci è dato controllare. I
dolori sono come i colori, e fa anche rima, diversissimi tra loro, ma
complementari. Sul dolore si basa tutta la filosofia del blues, il
dolore della mancanza di libertà, quello della fatica e il dolore
sottile che si ripone nella speranza. I dolori sono fisici, ti
prendono allo stomaco, o alla pancia oppure alla gola o agli occhi o
alle articolazioni. E ci sono i dolori che come cancrena si nutrono
della tua anima, rosicchiandola con dentini da topino affamato o
sbranandola come lupi in branco, e sono incurabili. I dolori della
mente, poi, son quelli più difficili da individuare e da lenire,
però si possono prevenire, lobotomizzandosi davanti a un plasma o un
cinescopio, indossando una realtà precotta, tipo quattro salti in
padella. Il dolore del cuore, poi, è il più subdolo, si mesce al
piacere, offuscandoti i sensi, al punto che t'è quasi impossibile
discernerne i gusti. Il dolore di un mondo, che corre all'impazzata
in senso contrario, ti rende impotente e consapevole di esserlo, e lo
scontrarsi con la stupidità ottusa dell'uomo, ti tagliuzza la pelle
a brandelli e talvolta le palle. Il dolore da assenza improvvisa e
ingiustificata poi, ti paralizza con occhi di Medusa, e occorre
reagire, di forza. Ma il dolore più grande è guardare in due occhi
di brace il riflesso dei tuoi occhi di brace e di pianto, e far finta
che non sia dolore. I dolori, a volte passano, tutto sta nel trovarne
la cura.
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