venerdì 13 dicembre 2013

la nausea



la nausea


A detta di un paio di miei affezionati lettori, la mia rubrica ultimamente sta muovendosi troppo verso i sentimenti e quel che è poesia o narrazione a se, perdendo il mordente di denuncia sociale e invettiva per cui era nata(sic). Conscio che quel che scrivi, nel momento in cui è pubblicato, diventa di colui che legge, ho smesso per un attimo gli abiti bardiani(lampo) e leopardiani(tuono) e mi son messo a scavare come una talpa nel quotidiano mio, della mia città, della nazione che mi ospita e del pianeta. Non è uno spettacolo simpatico, roba che lo schifo t'attanaglia parlandoti di precariato semieterno, raccontandoti di scherani e di piccolo cabotaggio, di “chiagne e futte” parcondicio, di inquinamenti insabbiati e mancanza totale del bello, sussurrandoti di crisi che sta terminando e di inutili e dannose proteste e di una violenza inaudita in forme, parole, contenuti, atteggiamenti ed atti, parlandoti di fame, di sentori di guerra, e di una scuola ridotta ad aia per polli d'allevamento, e ti sovvengono in vesti nuove e linde parole come ronda, espulsione, razza, nazi, zingari, ti fa pensare che il sangue di una donna ammazzata cambia valore in base alla nazionalità, e poi t'inorridisce fino allo svenimento per nausea vedendo “turisti fai da te” recarsi dove son successe disgrazie di varie entità vita e farsi fotografare coll'I-phone ed esibirsi fieri in un social qualsiasi. Manco il miglior Orwell misturato con il più ispirato Lovecraft avrebbe potuto prevedere questo presente assente. Stavolta ho deciso di non vomitare, mi affido a una qualsiasi costellazione scrissi una volta in una canzone, riprendo in prestito il brano, decido la costellazione e infine vengo divorato da un libro di Prevèrt.

© salvatore digennaro

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