la nausea
A detta di un paio di miei affezionati
lettori, la mia rubrica ultimamente sta muovendosi troppo verso i
sentimenti e quel che è poesia o narrazione a se, perdendo il
mordente di denuncia sociale e invettiva per cui era nata(sic).
Conscio che quel che scrivi, nel momento in cui è pubblicato,
diventa di colui che legge, ho smesso per un attimo gli abiti
bardiani(lampo) e leopardiani(tuono) e mi son messo a scavare come
una talpa nel quotidiano mio, della mia città, della nazione che mi
ospita e del pianeta. Non è uno spettacolo simpatico, roba che lo
schifo t'attanaglia parlandoti di precariato semieterno,
raccontandoti di scherani e di piccolo cabotaggio, di “chiagne e
futte” parcondicio, di inquinamenti insabbiati e mancanza totale del bello,
sussurrandoti di crisi che sta terminando e di inutili e dannose proteste e di una violenza
inaudita in forme, parole, contenuti, atteggiamenti ed atti,
parlandoti di fame, di sentori di guerra, e di una scuola ridotta ad
aia per polli d'allevamento, e ti sovvengono in vesti nuove e linde
parole come ronda, espulsione, razza, nazi, zingari, ti fa pensare
che il sangue di una donna ammazzata cambia valore in base alla
nazionalità, e poi t'inorridisce fino allo svenimento per nausea
vedendo “turisti fai da te” recarsi dove son successe disgrazie
di varie entità vita e farsi fotografare coll'I-phone ed esibirsi
fieri in un social qualsiasi. Manco il miglior Orwell misturato con
il più ispirato Lovecraft avrebbe potuto prevedere questo presente
assente. Stavolta ho deciso di non vomitare, mi affido a una
qualsiasi costellazione scrissi una volta in una canzone, riprendo
in prestito il brano, decido la costellazione e infine vengo divorato
da un libro di Prevèrt.
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