Ci vorrebbe il Faber
15 anni fa, bar dell'università, il
caffè tra una lezione e l'altra, parte la sigla del TG, prima
notizia: la morte di Fabrizio De Andrè, la tazzina che mi scappa
dalle mani e si infrange sul pavimento. Il mio poeta , il cantore
della mia crescita, il mio terzo padre, il consiglio di vita in
musica se n'era andato.
E poi di corsa con i miei fratelli, i
figli delle stesse parole, a casa, col vino e il vinile, a ricordare,
ad ascoltare, a mescere le lacrime nel bicchiere, a strimpellare di
Bocche di Rosa andate e di Amori Perduti. Sembra passato solo un
giorno.
E in un Italia allo sfacelo , l'Italia telemarketing,
l'assenza del bardo della Genova vecchia, suona come una beffa dal
sapor di sconfitta: i Previti, i Dell'Utri e i Berluscomix, son tutti
là, conditi al Viagra, han simulato di mollare il timone di un paese
che somiglia sempre più al Titanic, affidandolo ai poteri forti in
odor di Napolitano, nascondendosi dietro yuppies rampanti dalla
faccia pulita e in odor di autorevolezza(se il libro è pessimo, hai
voglia a cambiar la copertina), mentre lui, il Faber, è ito, a
suonare la sua chitarra tra quelli che dicono angeli.
Mi son vestito di nostalgia e
assaporando la meraviglia di sempre, ho girato per youtubes vari
rimembrando le note dell'artista ligure, e mi son messo a spulciare
tra i commenti, tanti, di ragazzi che all'epoca manco c'erano, e ho
sentito l'affetto, la gioia, la fratellanza, la comunanza in nome di
Fabrizio, costantemente esponenziale. E ho visto pure chi con Fabrizio, s'è creato un vitalizio, ma lui ne avrebbe sorriso.
Ho sorriso anch'io, mentre due lacrimoni han
rigato le mie guance. Mai come oggi, tra dragate, marchionnate e
reality, tra prodotti preconfezionati dal teleschermo e escort
prestate al potere, tra il nuovo che sa di avanzo e l'avanzo che sa
di nuovo, tra la gente che ha fame e chi della parola fame non ne sa manco il
significato, il Faber vive. Ed ho sognato, tra 20 anni, questa
gentaglia che attanaglia gli zibidei, scomparsa nel dimenticatoio, e
nuovi ragazzi a cantare La guerra di Piero e Marinella, assieme ai
ragazzi di sempre, a noi, i suoi ragazzi. Perchè alla fine, come
diceva il mio amico Don Angelo, il tempo è galantuomo.
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