sabato 11 gennaio 2014

Ci vorrebbe il Faber





 Ci vorrebbe il Faber


15 anni fa, bar dell'università, il caffè tra una lezione e l'altra, parte la sigla del TG, prima notizia: la morte di Fabrizio De Andrè, la tazzina che mi scappa dalle mani e si infrange sul pavimento. Il mio poeta , il cantore della mia crescita, il mio terzo padre, il consiglio di vita in musica se n'era andato.
E poi di corsa con i miei fratelli, i figli delle stesse parole, a casa, col vino e il vinile, a ricordare, ad ascoltare, a mescere le lacrime nel bicchiere, a strimpellare di Bocche di Rosa andate e di Amori Perduti. Sembra passato solo un giorno.
E in un Italia allo sfacelo ,  l'Italia telemarketing, l'assenza del bardo della Genova vecchia, suona come una beffa dal sapor di sconfitta: i Previti, i Dell'Utri e i Berluscomix, son tutti là, conditi al Viagra, han simulato di mollare il timone di un paese che somiglia sempre più al Titanic, affidandolo ai poteri forti in odor di Napolitano, nascondendosi dietro yuppies rampanti dalla faccia pulita e in odor di autorevolezza(se il libro è pessimo, hai voglia a cambiar la copertina), mentre lui, il Faber, è ito, a suonare la sua chitarra tra quelli che dicono angeli.
Mi son vestito di nostalgia e assaporando la meraviglia di sempre, ho girato per youtubes vari rimembrando le note dell'artista ligure, e mi son messo a spulciare tra i commenti, tanti, di ragazzi che all'epoca manco c'erano, e ho sentito l'affetto, la gioia, la fratellanza, la comunanza in nome di Fabrizio, costantemente esponenziale. E ho visto pure chi con Fabrizio, s'è creato un vitalizio, ma lui ne avrebbe sorriso. 

Ho sorriso anch'io,  mentre due lacrimoni han rigato le mie guance. Mai come oggi, tra dragate, marchionnate e reality, tra prodotti preconfezionati dal teleschermo e escort prestate al potere, tra il nuovo che sa di avanzo e l'avanzo che sa di nuovo, tra la gente che ha fame e chi della parola fame non ne sa manco il significato, il Faber vive. Ed ho sognato, tra 20 anni, questa gentaglia che attanaglia gli zibidei, scomparsa nel dimenticatoio, e nuovi ragazzi a cantare La guerra di Piero e Marinella, assieme ai ragazzi di sempre, a noi, i suoi ragazzi. Perchè alla fine, come diceva il mio amico Don Angelo, il tempo è galantuomo.    

© salvatore digennaro

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