martedì 26 novembre 2013

Fernando Blues



Fernando Blues


Ebbe a scrivere Charles Simic: "Il blues è l'unica consolazione delle disillusioni e sofferenze su cui contare, perché consola anche dal bisogno di essere rincuorati, consolati. Ha un ritmo coinvolgente, scazonte come il passo di uno zoppo che si muove a passo di danza, che parte da un motivo semplice, una rima. incatenata, alternandosi, potenzialmente all'infinito, come le terzine di un poema dantesco, e alla fine si cade sempre in piedi sul primo accordo, come un gatto che cade dal tetto, sulla strada che poi si trasforma in un altro tetto per un altro giro...".
In inglese la parola blues significa tristezza, malinconia. Nasce dagli schiavi neri che raccoglievano il cotone e cacciavano via col canto, con la musica, i dolori dell'oppressione.
Fernando Blues l'ho conosciuto all'università, lui e la sua chitarra, sugli scaloni che portavano al Filo Rosso, l'ho conosciuto nelle serate fumose ed etiliche, e negli impeti rivoluzionari. 
Ho conosciuto i suoi occhi chiari e dolci, liquidi e sinceri, profondi e buoni. 
Dal suo "bare', cum'è?" salutato ogni volta in cosentino stretto, ai suoi blues che illuminavano ogni singolo dolore il passo era meravigliosamente breve. 
Ricordo una sera che ho suonato all'emeroteca un mio pezzo, lui è venuto , ha attaccato il jack senza dire una parola, ed è voluto essere della canzone. 
Lo ricordo alticcio e sorridente, e pensieroso raccontarmi le sue avventure in terre straniere, e poi di colpo abbracciare il suo liuto magico e dipingere di blu, del suo blu, ogni parete grigia.
Un giorno gli portai su un foglietto un blues che avevo scritto per lui, mi guardo', lo arrangiò, lo suonò, lo cantò all'istante e mi abbracciò. 
Tempo dopo partì per l'Olanda, e io finii l'università e tornai nelle puglie.
Qualche anno fa, in visita per le calabrie sentii una voce alle mie spalle: "bare', cum'è?", mi voltai e mi rituffai nel suo sorriso, era invecchiato, ingrassato, ma gli occhi e il sorriso erano gli stessi di sempre. 
Mi disse che era ritornato in terra bruzia, e mi raccontò che aveva ritrovato il mio blues, e l'aveva suonato in un locale di Amsterdam. 
Lo abbracciai. 
E ci demmo appuntamento al mio nuovo passaggio per Cosenza. 
E poi suonammo un blues. 
Fernando non suonava il blues, lui era il Blues. 
Oggi, in un giorno di spifferi di neve, Fernando ha deciso di cambiare il palcoscenico per il suo blues, quello delle strade e dei dolori, e delle sofferenze e le speranze. 
Oggi è andato a fare un'audizione importante, per farsi coraggio ha sorseggiato un po di vino, ha attaccato il jack, e cominciato a suonare la sua musica unica. Il suo blues. 
Pare che il paradiso tutto si sia fermato ad ascoltare. 
E col dolore che mi attanaglia l'anima, e col senso di smarrimento di chi perde una  cosa bella della propria vita, sono andato a scovare quei versi di tanti anni fa. 
E li ho riletti, con le lacrime che libere scendevano per la mia barba incolta. 
Poi ho messo su un blues ed ho provato anch'io a consolarmi dal bisogno di essere rincuorato, consolato.


Fernando Blues


E parli, parli, parli
E non ti resta niente
E passi qui il tuo tempo
Come passa la storia
Io canto questo blues
Perchè ho perso la memoria.

Conosci tanta gente
Ma chi conosce te
Pensi di fare quel che vuoi
Ma quel che vuoi non lo sai
Io canto questo blues
Perché non si muore mai.

La guardi dentro gli occhi
Oddio son belli sai
Ti ruberà i tuoi giorni
Tu non cadere mai
Ascolta questo blues
Vedrai ti salverai.

Se piangi che è lontana
Sei un umano e lo sai
Se forse è via per sempre
Tu piangi che fa bene
Cantiamo questo blues
Schiavi senza catene…..






© salvatore digennaro

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