domenica 26 maggio 2013

Terra dove andare

terra dove andare



Lui si guarda intorno e non ha già più terra dove andare, lui si guarda i piedi e non ha scarpe adatte per continuare a ballare , lui se guarda il cielo non ha santi a cui telefonare ,lui se guarda il cielo, il cielo gli fa segno di andare. “ recita una stupenda canzone di Ivano Fossati, ultimo esponente della famigerata scuola cantautoriale genovese.

 Fossati ha detto stop alla sua carriera, è uscito dai giochi come Platini, è caduto in piedi. Ha deciso di smettere la sua parabola artistica per godersi il meritato riposo dopo anni di fatica. Il verso in questione parla di gente che lascia il proprio posto d’origine e va a cercar fortuna altrove. 2 milioni di persone, dal 1990 al 2005, hanno abbandonato il meridione per andare a lavorare e vivere nel Centro-Nord, e la crisi non era ancora arrivata. E non si tratta di manodopera, bensì di  laureati a pieni voti, gente che potenzialmente potrebbe far la fortuna del bistrattato sud. Figure professionali che vanno ad arricchire le regioni padane. E giù chi resta? I figli dei figli, i soliti cialtroni, gli ignoranti, i lobbisti, i mediocri, le corporazioni politiche che di polis non capiscono una mazza. I leccaculo di ogni colore, che magari si mettono la coppola e arrivano a comandare la cosa pubblica senza aver nozioni di nulla, senza conoscere la differenza tra un congiuntivo e un condizionale. Spazio agli asini patentati. Quasimodo diceva “il Sud è stanco di trascinare morti, in riva alle paludi di malaria,è stanco di solitudine, stanco di catene, è stanco nella sua bocca, delle bestemmie di tutte le razze che hanno urlato morte con l’eco dei suoi pozzi, che hanno bevuto il sangue del suo cuore. Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,costringono i cavalli sotto coltri di stelle,mangiano fiori d’acacia lungo le piste nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse. Più nessuno mi porterà nel Sud”. E mentre il cielo fa segno di andare, mi fa segno di andare, il famoso tacco d’Italia (già regno di Nichi e i suoi scherani, e dei minuscoli nikiniki, che del governatore di Puglia manco hanno lo spessore e la dialettica) diventa sempre più il culo d’Italia. Ad maiora. 


© salvatore digennaro


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