mercoledì 28 novembre 2012

compartilhar saudade


compartilhar saudade



Saudade è una parola propria della cultura lusitana, indica una forma di melanconia, affine alla nostalgia. Dal latino solitùdo, solitudinis, solitudine, isolamento e salutare, salutatione, saluto; è un ricordo nostalgico di qualcosa di assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o di possederlo. In molti casi un termine quasi mistico: accettazione del passato, fede nel futuro e nella giustizia, speranza mai sopita anche quando utopicamente irraggiungibile, malinconica allegria. La si può intendere appena ascoltando il FADO oppure la BOSSANOVA, ma per comprenderla del tutto bisogna essere portoghesi, capoverdiani o brasiliani oppure aver provato l'ebbrezza di quei luoghi, averne assaporato l'aria, e gli odori, i suoni e i sapori. Un biglietto di sola andata verso questa quasi nascosta sfaccettatura dell'anima: non è possibile tornare indietro. Una lente con la quale osservare il mondo e la sua storia mescendola alla propria storia personale, un'agrodolce cartina di tornasole sull'esistenza. Non esiste una parola italiana che riesce a tradurre un tal oceano di significati.

Compartilhar è un altro termine intraducibile dal portoghese: indica condividere, spartirsi il pane, comunione, comunanza, quasi a diventare tuttuno, vivere assieme la passione soffrendo e gioendo, struggendosi e venendone a capo insieme, unione di intenti e di obbiettivi.

Forse per l'intraducibilità, o per la mancanza di lusitanità, o per la differenza di microclima, agli italioti di nuovo millennio, bersagliati catodicamente da Defilippate varie, con tutto ciò che accade prodotto da consumo e potenziale suoneria per telefonino, inconsapevolmente lobotomizzati da generazioni dalla Telecrazia Parlamentare Mondial casa, prossima alla Videocrazia Presidenziale Mediashopping, questi stati di coscienza, peraltro latini, non appartengono minimamente. Guai a chi queste parole le ha ormai nel DNA. Magra consolazione: un giorno, non proveranno saudade di tutto questo.


© salvatore digennaro


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