sabato 27 aprile 2013

HOPE

Pelle d’alabastro e di mogano era lì, come un’Alt della polizia, come la scadenza di una cambiale, come l’alba sulla sabbia,era lì. Lì, sedeva alla stessa tavola con me, e coll’assessore alla Cultura che m’ero fatto amico, dopo il lavoro svolto per una rassegna jazz;
”DottorGioddano….mia moglie….” ,diceva e stringeva la mano d’alabastro di pelle d’alabastro e le dita di mogano arroventato ed un cerchietto d’oro dritto all’anulare, e poi mano d’alabastro dritto a me!
- Hope! Piacere…..
Era talmente lei, stupendamente lei che neanche facevo caso al fatto che il ‘pollitico’ mi chiamava per nome e non per cognome.
Giordano Bruno all’anagrafe, per l’esattezza mi chiamo, Giordano di nome.Come quello della storia. Come il famosissimo attaccante della Lazio, del Napoli e, pare pure della ‘nazzionale’, Bruno Giordano della Ma.Gi.Ca.; che non è un’impresa di pulizia, ma la famigerata, fantomatica sigla dei Triunviri che governavano il Regno Di Napoli alla fine del secolo scorso (Maradona-Giordano-Careca). Anche se di polvere ne facevano vedere e parecchia agli avversari, tranne quella bianca (citofonare Diego…..).
Ho tre anni e trentatrè figli o viceversa, tre donne andate, una tessera all’anonima alcolisti, un esame e tesi a laurea e una visione: te.
-Che burlone il nostro dottor Gioddano……interruppe prontamente il marito della donna.
Ma non si trattava di una burla e lei lo aveva capito subitaneamente.
I suoi occhi s’erano fatti d’un colpo abbaglianti come i fari di uno studio fotografico.
Il suo sguardo dapprima perso in chissà quale celestiale estasi mistica era divenuto pungente come il freddo del polosud a capodanno e le sue mani d’alabastro avevano iniziato convulsamente ad agitarsi come quelle di un folle direttore d’orchestra.
L’aria s’era fatta da braccio della morte ed erano trascorsi neanche tre minuti.
D’un tratto la sua folta chioma di crine di cavallo selvatico intrecciato ebbe un sussulto.
Pelle d’alabastro e di mogano si alzò, poggiò le sue labbra porpora cardinale sulle mie, un istante, un anno, una vita, un’era geologica.
Poi si ritrasse, come un’onda si ritrasse.
Mi fissò con le pupille spalancate in un iride nero come l’infinito, come la madre dei misteri.
Si voltò verso il suo compagno, immobile e pallido: una statua.
Mi rigettò addosso nuovamente la sua energia, tra le sue ciglia due gioielli.
Prese la mano all’assessore e se lo portò via, movendosi con la grazia di una piuma e l’energia di un uragano tropicale.
Scomparvero.
M’accesi una sigaretta e vuotai in un sorso il mio bicchiere. Non li rividi mai più.  


© salvatore digennaro


Nessun commento:

Posta un commento

l'infine

L'infine Affonderemo danzando, come la sala da ballo del Titanic  o creperemo testando improbabili ricette. Berremo la cicut...