sabato 6 luglio 2013

Lo spread




Lo spread
Non guardo mai la tv, non ce l'ho a casa, apprendo le notizie in rete oppure in radio, o leggendo il giornale al bar.
 Ma la tv, che ha precipitato questa italietta ai minimi termini culturali la aborro. Trentanni di bimbumbam han causato più danni cerebrali di Hiroshima. Mi spaventa vedere televisori accesi in stanze vuote, e alla domanda “cosa la accendi a fare?” sentirmi rispondere: “mi fa compagnia”, come fosse un animaletto o una badante o l'amico che viene a farti visita. La tv ceauseschiana del bel paese, ingottita come un tubo di scarico di reclames e falsi miti, è un qualcosa di vomitevole. Ha costruito una realtà parallela alla realtà stessa. Distoglie lo sguardo da ciò che per davvero accade. E' varietà, della peggior specie, ed oltretutto manco mi diverte. E rabbonisce tra una tetta e un culo, tendendo a far diventar normale tutto quel che normale non è. Mica ti dicono che la crisi è un gioco di speculazioni e frutto di un capitalismo da dilettanti intriso di corruzione e in mano a lobby di potere? Se ne escono con delle parole finora sconosciute e ti prendono per i fondelli tra un reality e una prova del cuoco. E allora la vecchina pensa che la crisi è colpa dello spread, ovvero quella cosa per profumare le ascelle. E il pensionato crede che la colpa della disoccupazione o del precariato va addebitata ai bund, e pensa a zerozerosette. E mentre si precipita ridendo e siamo in mano alla peggior specie di classe politica e dirigenziale di tutti i tempi, e le famiglie non sanno di che campare, ci godiamo da un paio di decenni, in prima serata, tra una fiction e un quiz, i processi, le esternazioni, e le avventure galanti di un quasi ottantenne in andropausa che ci fa pigliare in giro dal pianeta. E come disse Baglioni: adesso la pubblicità.

© salvatore digennaro


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